Alla proposta di individuare i dipendenti pubblici totalmente improduttivi
e di incominciare a tagliare lì, piuttosto che tagliare sugli
investimenti o sui servizi pubblici che funzionano (Corriere, 24
agosto), i sindacalisti del settore hanno risposto, come previsto, con
un «no» secco: niente licenziamenti; semmai «mobilità» e incentivi.
Però hanno riconosciuto che il problema esiste, e in misura non
trascurabile. Questo è già un passo avanti notevole: tutti dunque
concordano che nell'amministrazione pubblica c'è una quota rilevante di
nullafacenti.
Allora, che cosa intende fare di questi nullafacenti
il ministro della Funzione pubblica? Continuare a voltar la testa
altrove e a pagar loro lo stipendio a tempo indeterminato, mentre si
taglia sulla spesa utile e sugli investimenti, sarebbe oggi
intollerabile: non dimentichi, il ministro, che non si tratta dei
lavoratori deboli e poco produttivi, ma di persone che non fanno
proprio nulla, non ci sono e quando ci sono è come se non ci fossero;
una categoria che alligna solo nel settore pubblico. È giusto ascoltare
con la massima attenzione quel che dice il sindacato, ma nella materia
di sua competenza, cioè in quella della protezione dei lavoratori; i
nullafacenti, per definizione, non sono lavoratori.
Esaminiamo, comunque, le tesi dei sindacalisti su
questo problema. La prima: licenziare non si deve, mai. Ma non sono
forse licenziamenti anche i prepensionamenti di impiegati anziani che
il governo sta studiando in questi giorni, con il tacito consenso degli
stessi sindacalisti? E licenziando gli anziani, non si rischia di
privare indiscriminatamente gli uffici pubblici di competenze talvolta
preziose e insostituibili? Se ridurre gli organici bisogna, non è
meglio incominciare con l'impiegato totalmente improduttivo,
riservandogli per due o tre anni un trattamento di disoccupazione pari
alla pensione anticipata che verrebbe data altrimenti all'anziano
produttivo, e ovviamente verificando che non abbia un'altra occupazione
nascosta e che sia davvero disponibile a un'occupazione regolare?
Veniamo alla proposta alternativa della «mobilità ».
I sindacati del settore pubblico fino a oggi si sono
sempre opposti in modo fermissimo a qualsiasi trasferimento
autoritativo di dipendenti pubblici: la «mobilità» che essi propongono
è solo quella «volontaria ». Ma questa non risolve il problema: nessun
impiegato nullafacente ha mai acconsentito a trasferirsi in un ufficio
dove si deve lavorare sul serio. In molti casi, poi, anche il
trasferimento autoritativo non risolve il problema: per esempio, se un
professore non insegna, perché ha altre cose da fare o perché non
conosce la materia che dovrebbe insegnare, trasferirlo altrove
significa soltanto infliggere il danno ad altri studenti. I
sindacalisti del settore pubblico sostengono poi che il problema
potrebbe essere risolto con gli incentivi economici. Tutti noi, però,
conosciamo la determinazione con cui loro stessi hanno sempre
perseguito gli aumenti salariali indifferenziati e hanno di fatto
impedito l'attivazione di sistemi retributivi capaci di premiare
impegno e produttività.
È comunque evidente che non può essere un premio di
produzione a sradicare il fenomeno dei nullafacenti. A me sembra che la
sola soluzione efficace sia quella a) di un organo indipendente di
valutazione che individui i nullafacenti, almeno quelli più smaccati
(operazione relativamente facile); b) di una norma che stabilisca nella
massima inefficienza e inutilità il criterio prioritario di scelta da
applicare per la riduzione del personale pubblico, incominciando dai
dirigenti; c) diunprocedimento giudiziale nelquale il giudice, quando
annulli un licenziamentoimpugnato, accerti altempostesso chi altro
debba essere licenziato secondo la corretta applicazione dei criteri
stabiliti, previa, ovviamente, chiamata in causa del nullafacente
interessato, a garanzia del suo diritto di difesa.
Questa soluzione ai sindacati del settore pubblico non
piace? Ne propongano un’altra;manon le chiacchiere che si sono sentite
fin qui: una soluzione vera, incisiva, efficace. Certo, per essere
efficace qualsiasi soluzione comporterà maggior rigore in un sistemache
per decenni è stato intollerabilmente lassista. D'altra parte, la lotta
alle rendite—comesi è appenavisto nella vicenda del decreto Bersani —
qualche durezza la richiede («la rivoluzione non è un pranzo di gala»).
E la posizione di rendita dei nullafacenti del settore
pubblicononmerita indulgenza maggiore rispetto a quelle, tutto sommato
meno costose per la collettività, dei tassisti edi alcune categorie di
liberi professionisti.
Da una parte c'è l'interesse dei nullafacenti a
continuare a godere della rendita che finora è stata loro assicurata;
dall'altra c'è l'interesse della maggioranza dei lavoratori
pubblici—quelli veri—a una retribuzione adeguata, l'interesse dei
precari a uscire dall'apartheid cui sono stati finora condannati,
l'interesse della collettività a non veder tagliare gli investimenti
necessari per lo sviluppo economico del Paese. In questo conflitto di
interessi i sindacalisti del settore pubblico da che parte stanno?
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